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La NATO (Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord), in
questi anni ha accresciuto il proprio impegno bellico, l’Iraq e
l’Afghanistan in particolare sono i campi di battaglia in cui ha provato a
piegare la resistenza dei popoli sotto occupazione; oggi in Iraq la NATO
e i suoi alleati – Israele, Arabia Saudita, Emirati - combattono
l’influenza dell’Iran e della Siria.
In Turchia, il governo conduce la sua guerra interna contro gli
oppositori e le popolazioni curde con il sostanziale appoggio degli
alleati occidentali: operazioni che coinvolgono le forze armate e i
servizi segreti turchi, strettamente connessi e dipendenti dai servizi e
dalle forze armate statunitensi, non possono essere state decise solo ad
Ankara. La guerra oggi assume sempre più l’aspetto di una guerra degli
Stati contro le popolazioni civili. La Turchia sta rapidamente evolvendo
in quella direzione.
Anche in Italia vediamo attuarsi questa politica, dall’operazione Mare
Nostrum - ora Frontex-Triton - che vede l’uso di navi da guerra,
droni e truppe speciali per “accogliere” migranti e rifugiati, ai
militari che pattugliano le strade con la scusa della minaccia
terroristica.
L’esercito a guardia della TAV e nella Terra dei Fuochi ha il chiaro scopo
di reprimere le istanze popolari, dimostrando la volontà del governo di
arrivare fino alla guerra civile per imporre scelte dissennate e
autoritarie.
Ecco il risultato di una lunga pianificazione, che vede uno stretto
legame tra la NATO e il FMI, tra politiche di guerra e di austerità.
Agli stati viene affidato un ruolo insostituibile nel sostegno al
capitalismo nella sua politica di rapina a mano armata a danno degli
sfruttati e dei ceti popolari.
E’ la stessa politica della Russia, della Cina e di ogni governo,
che non può fare a meno di una classe che goda di privilegi economici a
danno della maggioranza dei cittadini per mantenere un minimo di consenso.
Il movimento anarchico è stato presente e spesso promotore delle ultime
iniziative contro la guerra e il militarismo. E’ urgente passare da
iniziative locali e su temi specifici ad un vero movimento
antimilitarista, unito, autonomo e di massa; questo è possibile se
il movimento si costruisce non contro questa o quella guerra, contro
questa o quella potenza imperialistica, ma contro ogni guerra, contro
ogni militarismo - abbia pure la stella rossa o l’aquila zarista come
simboli - attorno all’autorganizzazione e all’azione diretta, senza
deleghe a partiti e istituzioni, senza illusioni costituzionali.
Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo
del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse
lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le
mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici
tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce,
perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi
suona la campana: suona per te.”
J. Donne, Per chi suona la campana
“Se verrà la guerra, marcondiro’ndero,
(…)
La guerra è dappertutto, marcondiro’ndera
La terra è tutto un lutto, chi la consolerà?”
F. De André, Girotondo
“Non nel tuo nome”? “Non nel tuo giardino”?
Su una Firenze distratta e indaffarata, dopo papi e presidenti, il
25 e 26 novembre calano anche gli assassini della NATO.
E c’è chi va ad ossequiarli, da rappresentante delle istituzioni
democraticamente elette dal “popolo italiano”. E c’è chi va ad
acclamarli, quasi fossero i supereroi di un videogioco fattosi
bruscamente coinvolgente.
Guerra! I cugini francesi sono in guerra! I bollettini si susseguono
senza pausa, freneticamente.
Come nel maggio del 1940, quando furono gli “italiani” ad
invadere i “francesi” (molti dei quali se la sono ovviamente legata al
dito). Proprio come il “Vile! Tu uccidi un uomo morto… ” di
fiorentina (corta e ipocrita) memoria.
Senza pausa, non freneticamente ma coscienziosamente, i portavoce
degli assassini preparano il terreno per diffondere la psicosi dei
“terroristi all’attacco della nostra civiltà”.
Siamo in guerra! e presto i terroristi colpiranno anche da noi! con
bombe prima esplodenti poi batteriologiche!
(Ah, già! Ma forse le abbiamo fornite noi, così come avevamo
distribuito napalm e virus in giro per il mondo?)
“Volete la guerra?” Ma la prima dichiarazione di guerra è stata fatta
dalla Francia (e dalla coalizione di cui fa parte, dalla Nato e dalla
Russia) a quella realtà misconosciuta che un acronimo in lingua
anglo-americana designa come I.S.I.S. (Islamic State of Iraq and
Syria), che come uno stato si struttura e opera, a dispetto dei
goffi tentativi dei media occidentali di sminuirne o eliminarne la sacra
statualità.
“… e guerra sia!” Non è in nostro nome che gli apparati militari dei
nostri stati hanno - in saecula saeculorum - invaso, depredato,
violentato, bombardato (con bombe esplodenti e batteriologiche),
convertito, deportato o annientato pezzi di umanità in lontane parti
del pianeta. Certo è che qualche forma di risposta è giunta fino ad una
parte di pianeta a noi più vicina: il nostro giardino (un tempo
l’hortus della tradizione latina classica dove oziare e filosofeggiare,
più recentemente il “backyard” della tradizione anglosassone per il
meritato, indisturbato week-end), dove non vorremmo cassonetti o
inceneritori, che pure riteniamo indispensabili purché “più in là”,
al fronte. Il fronte deve essere lontano.
“Più in là”, da “loro”, è però anche dove dobbiamo andare –
indesiderati - a cercare e prendere le risorse, energetiche in
particolare, che ci consentono i nostri dispendiosi standard di vita
Ovviamente, il fine giustifica i mezzi.
“Più in qua”, da “noi”, è però dove sono costretti a venire
“loro” – indesiderati - a cercare acqua, cibo, medicine e
quanto consenta una vita migliore. Ovviamente, i mezzi non
garantiscono il fine.
Questa dissimmetria, questa disparità di trattamento, questa
divisione tra sfruttati e sfruttatori, tra servi e padroni è voluta,
creata e mantenuta dagli stati e dai loro eserciti.
Non a caso, in stati permeati da settarismi e allucinazioni religiose,
dove gran parte dei probi cittadini è convinta dell’esistenza dei
miracoli e degli extraterrestri, per non parlare dell’origine divina
dell’universo o dello sbarco sulla luna, la principale ossessione è
proprio quella degli “invasori” (basti pensare alla sterminata
filmografia di Hollywood sugli UFO): i comunisti ieri, gli islamici
oggi. Negli aeroporti angloamericani i corridoi di arrivo per gli
stranieri sono segnati dai cartelli indicanti “aliens” (altra parola
di origine latina…).
La NATO rappresenta il principale mezzo militare a disposizione degli
stati occidentali per traghettare dal passato al futuro il colonialismo e
l’imperialismo di sempre, garantendo nel contempo l’export dei propri
modelli culturali, capitalistici e consumistici.
Questo avviene in una cornice in cui la disparità di valutazione degli
atti bellici è strutturale: il nostro è un intervento legittimo,
giusto, misurato e umanitario (anche quando si colpiscono civili
inermi e incolpevoli); il loro è mero atto di terrorismo, efferato e
inumano (specialmente perché si colpiscono civili nel loro quieto vivere
democratico).
La nostra civiltà, la nostra cultura guardano con orrore ai pazzi e ai
suicidi.
E poi, “loro” si drogano pure per diventare più feroci…
… come i fanti italiani ubriacati di grappa nelle trincee nella prima
guerra mondiale, come gli aviatori anglo-americani sempre eccitati con
le anfetamine durante la seconda, come gli eroici soldati statunitensi
fatti di eroina in Corea o di cocaina in Vietnam… e, in effetti, il
termine “assassino” potrebbe derivare dall’arabo “hashish” col
quale si inebriavano appunto gli adepti dell’omonima setta fanatica,
mentre ai crociati in Terrasanta e ai conquistadores del nuovo mondo per
esaltarsi, avere le visioni e prepararsi con croce e spada in mano al
massacro degli infedeli erano sufficienti i canonici “digiuno e
preghiera”.
”Difenderemo (e diffonderemo) la nostra civiltà” è lo slogan che
apparentemente ha sostituito le formule religiose. La laicissima Francia
e l’ America dei multi-culti (religiosissimi e integralistissimi)
hanno facile presa nell’agitare lo spauracchio del dio dei nemici e farne
il Dio del Male Assoluto. I francesi hanno sacrificato qualcuno dal
passaporto francese sull’altare della Patria sperando di cavarsela,
prima con quegli iconoclasti rompiscatole di Charlie Hebdo, in questi
giorni con la “grandeur” ferita a suon di cadaveri.
Nella moderna Italietta provinciale, più modestamente, ci si
accontenta di gridare “al lupo!” per giustificare la progressiva
militarizzazione del territorio a fini di controllo e repressione
interni; inoltre, si seguita ad inginocchiarsi davanti ai massimi
esponenti dell’industria bellica multinazionale, come se le spese
militari fossero il miglior motore per l’economia del Belpaese degli
italiani brava gente.
“Difenderemo (e diffonderemo) i nostri valori e il nostro stile di
vita” è lo slogan che mette al riparo lo Spread e il Brent dei
capitalisti, i SUV, i Giga e la coscienza di chi li sostiene, sia
sulle rive del nord-Atlantico sia in medio Oriente. Dalle Alpi alle
Piramidi, dal Manzanarre al Reno, dagli Appennini alle Ande…
“Pecunia non olet”, il denaro non puzza, armi e petrolio nemmeno.
Al contrario, profumano per dittatori, petromonarchi, galli,
sauditi e yankees, che li commerciano. E in questo profumo la loro
espressione, l’ ISIS, si immerge a fondo.
L’iniziale cautela del governo italiano sull’eventualità di incrementare
il proprio coinvolgimento nel conflitto può essere spiegata, oltre che
dal timore di svegliare il can che dorme (i “terroristi nati e
cresciuti qui da noi” come dice Renzi), con la consueta reverenziale
sudditanza verso il Vaticano. Quest’ultimo manifesta infatti un
significativo interesse nell’accoglienza di profughi e migranti di ogni
dove. Nello slogan “una famiglia in ogni parrocchia” si riversano e
fondono le brame imprenditoriali e di evangelizzazione dei vertici
ecclesiastici: è molto più proficuo far venire gli infedeli qua invece
che inseguirli là dalle loro parti..
Gli stessi americani (che hanno cimiteri militari alquanto affollati)
preferiscono rimanere a casa e “salvare il soldato Ryan” inviando
droni.
Nel frattempo, sempre in occidente, la società civile, democratica e
progressista fa indigestione di cibi e musica etnici, equi e solidali,
di rispetto e integrazione, di progetti e adozioni “a distanza”,
ma in molte zone dell’oriente vale sempre il vecchio adagio “vedere
mangiare gli altri non placa la mia fame”
Conflitto di culture e civiltà? Ovviamente no. Il conflitto di
interessi (cioè di potere) tra le tre più diffuse e potenti religioni
monoteiste ne vede per il momento due alleate contro la terza. Gli
attentatori/assassini di questa sono frequentemente chiamati
“kami-kaze” (nel Giappone politeista, è l’espressione poetica
traducibile con “degli dei-il vento”) invece che con il corretto
termine arabo “martiri-di-Allah”, alla faccia del rispetto di cui si
riempiono la bocca preti, rabbini e compagnia. Poi ci si sorprende se
qualcuno, invece di prenderla con filosofia e senso dell’umorismo,
imbraccia il fucile (che magari gli abbiamo venduto) e fa fuoco.
Le vittime tutte non han nazione, i carnefici tutti invece sì.
I Terroristi che sfruttano, affamano, imprigionano, torturano,
bombardano (anche in nome tuo e anche nel tuo giardino, oh,
complice!) sono gli Stati, si chiamino essi Francia, Stati Uniti,
Italia, Unione Europea, Chiesa, ISIS…
…NON SIAMO STATI NOI, NOSTRA PATRIA E’ IL MONDO INTERO…
senza soldati, niente guerre…
Ma io non sono qui egregio presidente
per ammazzar la gente più o meno come me
…
a tutti griderò
di non partire più e di non obbedire
per andare a morire per non importa chi
Per cui se servirà del sangue ad ogni costo
andate a dare il vostro se vi divertirà
e dica pure ai suoi se vengono a cercarmi
che possono spararmi io armi non ne ho
B. Vian, Il disertore
Assemblea degli anarchici toscani – Livorno 22/11/2015
sentences:
- Contro guerra, fascismo e razzismo -
- È possibile viaggiare nel tempo?
- Nessuno è N.A.T.O. per servire -
- source_sentence: "[ Changsha, Hunan, Cina ](<https://www.ilpost.it/2017/07/03/lunedi-3-luglio/changsha-hunan-cina-2/> \"vai alla fotogallery\") [Changsha, Hunan, Cina](<https://www.ilpost.it/2017/07/03/lunedi-3-luglio/changsha-hunan-cina-2/>) Changsha, Hunan, Cina [Bowling Green, Kentucky, Stati Uniti](<https://www.ilpost.it/2017/07/03/lunedi-3-luglio/bowling-green-kentucky-stati-uniti/>) Bowling Green, Kentucky, Stati Uniti [Los Angeles, California, Stati Uniti](<https://www.ilpost.it/2017/07/03/lunedi-3-luglio/los-angeles-california-stati-uniti-9/>) Los Angeles, California, Stati Uniti [Londra, Inghilterra, Regno Unito](<https://www.ilpost.it/2017/07/03/lunedi-3-luglio/londra-inghilterra-regno-unito-49/>) Londra, Inghilterra, Regno Unito [Katmandu, Nepal](<https://www.ilpost.it/2017/07/03/lunedi-3-luglio/katmandu-nepal-28/>) Katmandu, Nepal [Mosul, Iraq](<https://www.ilpost.it/2017/07/03/lunedi-3-luglio/mosul-iraq-43/>) Mosul, Iraq [Versailles, Francia](<https://www.ilpost.it/2017/07/03/lunedi-3-luglio/versailles-francia-2/>) Versailles, Francia [Al-Shati, Striscia di GAza](<https://www.ilpost.it/2017/07/03/lunedi-3-luglio/al-shati-striscia-di-gaza-2/>) Al-Shati, Striscia di GAza [Parigi, Francia](<https://www.ilpost.it/2017/07/03/lunedi-3-luglio/parigi-francia-102/>) Parigi, Francia \n *[MASAF]: Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste\n *[ICQRF]: Dipartimento dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari\n *[) ]: Rigore\n *[Rig), 63′\_]: Rigore\n *[ NF]: Norfolk Island\n"
sentences:
- Mercoledì 19 ottobre
- Lunedì 3 luglio
- Giovedì 17 novembre
- source_sentence: "\n> \n> Meng Hongwei – ex capo dell’Interpol, la principale organizzazione internazionale di cooperazione di polizia – [ha ammesso](<https://news.yahoo.com/1-former-interpol-chief-admits-064551649.html>) di aver ricevuto 14.5 milioni di yuan (circa 1,8 milioni di euro) di tangenti. L'ammissione è arrivata durante un'udienza del processo a suo carico per corruzione, che è in corso a Tianjin, in Cina. Lo ha riferito il _Quotidiano del Popolo_ , il giornale ufficiale del Partito Comunista cinese. Meng, che era stato viceministro cinese della Sicurezza, aveva fatto molto parlare di sé nel [settembre 2018](<https://www.ilpost.it/2018/10/05/sparito-capo-interpol-meng-hongwei/>), quando si era dimesso da capo dell’Interpol con effetto immediato, senza spiegare nulla nemmeno ai familiari. Due settimane dopo il governo cinese aveva comunicato il suo[ arresto](<https://www.ilpost.it/2018/10/08/cina-presidente-interpol-arrestato-meng-hongwei/>) e lo scorso marzo le autorità cinesi lo avevano infine incriminato per corruzione.\n *[MASAF]: Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste\n *[ICQRF]: Dipartimento dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari\n *[) ]: Rigore\n *[Rig), 63′\_]: Rigore\n *[ NF]: Norfolk Island\n"
sentences:
- >-
L'ex ufficiale della marina Dong Jun è stato nominato ministro della
Difesa in Cina, dopo la scomparsa del suo predecessore
- Il pianto di Serey Die
- >-
Meng Hongwei, ex capo dell’Interpol, ha ammesso di aver ricevuto
tangenti
- source_sentence: "\n\n\n\n\r\n \r\n \t23 novembre 2018 11:24\r\n \r\n \n\n\n\n\nIl motore di ricerca Google ha annunciato che prenderà provvedimenti in modo che chi naviga online possa sapere chi paga le pubblicità a carattere politico che compariranno sugli schermi di telefoni e computer. \n\n\nÈ una conseguenza diretta delle manipolazioni che si sono verificate durante le elezioni statunitensi del 2016, quando decine di milioni di elettori hanno ricevuto pubblicità mirate via internet senza sapere che erano legate alla Russia, come hanno rivelato le udienze del congresso in quest’ultimo mese facendo aumentare la pressione sulle grandi piattaforme digitali. \n\n\nI governi, negli Stati Uniti e in Europa, vorrebbero evitare che si ripetano fatti simili durante le prossime elezioni. Google ha deciso di agire unilateralmente invece di vedersi imporre regole dagli stati o dalla Commissione europea, con cui è in conflitto su diversi temi. \n\n\nOltre ad annunciare di aver trovato il modo di far sapere chi ha pagato le pubblicità politiche o elettorali online, l’azienda tecnologica si è impegnata a verificare che gli annunci non contengano affermazioni false. \n\n\nIn tal senso sarà costituito un database europeo per stabilire chi acquista le pubblicità elettorali, a chi sono destinate e quanto denaro è stato speso. \n\nGoogle vorrebbe dare prova di buona condotta, ma la credibilità delle piattaforme digitali è compromessa\n\nGoogle risponde così agli obiettivi della \nlegge francese chiamata fake news\n, che contiene alcune disposizioni destinate a garantire la trasparenza sull’acquisto di contenuti sponsorizzati sulle piattaforme digitali durante i periodi elettorali. Altri stati europei stanno preparando leggi simili. \n\n\nLa legge francese, che prevede anche azioni più controverse come l’intervento di un giudice per stabilire se un’informazione è vera o falsa, sta per terminare il suo percorso parlamentare e dovrebbe entrare in vigore prima delle elezioni europee di maggio. \n\n\nQualche mese fa uno scandalo ha travolto la società Cambridge Analytica, accusata di aver utilizzato illecitamente milioni di dati personali di utenti Facebook per influenzare elettori statunitensi, britannici e keniani. Le indagini avevano svelato metodi sofisticati su scala mai vista. \n\nDel consiglio d’amministrazione di Cambridge Analytica faceva parte Steve Bannon, personaggio legato all’estrema destra statunitense e già consulente di Donald Trump. Bannon oggi è attivo in Europa, dove ha creato un movimento per aiutare i partiti populisti e d’estrema destra in vista delle elezioni europee. Bannon è particolarmente vicino all’italiano Matteo Salvini e all’ungherese Viktor Orbán. \n\n\nIn ballo, insomma, c’è la regolarità della campagna elettorale europea. Google vorrebbe dare prova di buona condotta, ma la credibilità delle piattaforme digitali è talmente compromessa che sarebbe ingenuo sottovalutare il bisogno di regolamentazione. Il primo passo di Google è positivo, ma si può fare di meglio. \n\n\n(Traduzione di Andrea Sparacino)\n \n\nLeggi anche:\n\n\n\nL’Europa è all’avanguardia nella protezione dei nostri dati\n \n\n\nCome nasce l’inchiesta su Cambridge Analytica?\n \n\n\nIl prologo poco conosciuto del caso Cambridge Analytica\n \n\n\n\n \n \n\nTecnologia\n"
sentences:
- "I social network faticano a contrastare\_le notizie false"
- >-
Simba La Rue torna agli arresti domiciliari, annullate tutte le date dei
concerti: "Motivi indipendenti dalla volontà dell’artista”
- Google promette trasparenza per le elezioni europee
- source_sentence: >
Come tutti gli appassionati di della serie TV _Boris_ sanno, il regista
René Ferretti, interpretato da Francesco Pannofino, sceglie come compagno
di viaggio per ogni suo nuovo progetto professionale un pesce rosso. I
pesci rossi si susseguono, avendo tutti una caratteristica in comune: a
ognuno di loro viene dato il nome di un grande giocatore di tennis, sport
che René segue con grande passione. I pesci rossi del regista di Fiano
Romano costituiscono infatti un viaggio attraverso decenni di tennis: Stan
Smith, Adriano Panatta, John McEnroe, Ivan Lendl, Boris Becker, Michael
Chang, Vanessa e Serena Williams e Roger Federer. Va rilevato che i pesci
rossi di René hanno in comune, loro malgrado, anche un'altra
caratteristica, ovvero quella di essere associati dal loro padrone a
prodotti culturali scadenti, di bassa qualità: per usare le sue parole,
fatti “a ca**o di cane”.Ma tra tanti pesci spunta una formica, la formica
rossa che dà il titolo a un [pregevole
cortometraggio](<https://www.youtube.com/watch?v=KKLM8OkncBo>) realizzato
dal personaggio interpretato da Pannofino, in cui alle raffinate immagini
che non vogliono affatto compiacere un pubblico digiuno di ogni linguaggio
filmico si accompagna uno script altrettanto importante, poetico e pregno
di valori forti e dal grande afflato umanistico. Anche in questo caso la
dedica va a un tennista, [Arthur
Ashe](<https://it.wikipedia.org/wiki/Arthur_Ashe>), che nasceva il 10
luglio di 80 anni fa. Non è un caso che a lui sia dedicato il
cortometraggio che trasmette i più nobili valori perché è questo che Ashe
ha fatto nella sua vita, con la parola e soprattutto con l'esempio. Il
tennista afroamericano sosteneva che un campione è colui che lascia il suo
sport migliore di come lo ha trovato e lui è riuscito ad andare anche
oltre, lasciando il mondo migliore di come lo aveva trovato. E tutto
questo lo ha fatto tenendo fede al suo concetto di eroismo, sobrio e non
drammatico, mirato non al superamento degli altri ma al loro aiuto.
[Abbonati a
MicroMega](<https://beacons.ai/micromega_rivista_abbonamenti>)
Come tennista, Arthur Ashe ha vinto quattro Coppe Davis, un US Open (e
oggi il campo centrale di Flushing Meadows [porta il suo
nome](<https://it.wikipedia.org/wiki/Arthur_Ashe_Stadium>)), un Australian
Open e un Wimbledon, superando nell'epica finale del 1975 il favorito
Jimmy Connors. Una sfida, ancor prima che tra due tennisti, tra due esseri
umani che non avrebbero potuto essere più diversi, almeno a giudicare
dalle loro figure pubbliche: riflessivo e compassato Ashe, esplosivo e
irruento Connors. “Jimbo” era il grande favorito, avendo come sua
principale alleata una giovinezza che lo poneva su un piano vantaggioso
nell’affrontare Ashe, già 32enne. Sfavorito sul piano atletico, Ashe vinse
sul piano tattico e mentale, una vittoria conseguita con gli stessi
ingredienti che l’anno prima erano valsi a Muhammad Alì [la riconquista
del titolo dei pesi
massimi](<https://it.wikipedia.org/wiki/The_Rumble_in_the_Jungle>) a
Kinshasa contro George Foreman, ugualmente più giovane e favorito. Ashe
appartiene alla stretta cerchia di atleti in cui si inserisce lo stesso
Alì, ossia di coloro che, pur avendo eccelso nel loro sport, se ne sono
serviti in fondo come punto di partenza, come trampolino da cui lanciarsi
per ottenere qualcosa di molto più grande.
Così come Alì è partito dalla boxe per prendere a pugni il razzismo,
altrettanto ha fatto Ashe iniziando dal tennis, agendo però con la sottile
delicatezza di una voleè o di un lob. La sua lotta contro l’apartheid che
allora attanagliava il Sudafrica ne è un chiaro e fulgido esempio. Ashe
infatti ha sfidato il Paese mostrandone le iniquità, vedendosi rifiutato
il visto per giocare all’Open di Johannesburg a partire dal 1968. Il
Sudafrica venne squalificato dalla Coppa Davis nel 1972, per esservi
riammesso l’anno dopo ad alcune condizioni, una delle quali era proprio
l’ammissione di Ashe al torneo. Il 20 novembre del 1973 il tennista di
[Richmond](<https://www.ubitennis.com/blog/2023/02/06/30-anni-senza-arthur-ashe-in-realta-non-e-mai-andato-via/>)
è il primo giocatore di colore a calcare il campo da tennis del più
importante torneo sudafricano. Tra le condizioni poste a sua volta per
accettare l’invito del regime sudafricano a giocare nel Paese, Ashe aveva
preteso che sugli spalti non vigesse la suddivisione abituale tra bianchi
e neri, che sedevano in settori diversi; la richiesta sarà in parte
disattesa, ma si tratterà di uno dei colpi di coda di un regime destinato
a crollare, anche sotto i colpi dell’eroismo sobrio di Ashe. [Come ci
racconta](<https://www.ubitennis.com/sport/tennis/2013/11/20/985140-sfida_storica_ashe_sudafrica.shtml>)
Alessandro Mastroluca, che gli ha dedicato [un
libro](<https://www.ibs.it/successo-viaggio-arthur-ashe-simbolo-libro-alessandro-mastroluca/e/9788867760121>),
in realtà l’inizio di quella avventura umana ancor prima che sportiva non
fu facile, tanto che alcuni giornalisti di colore che lo incontrano prima
del torneo lo accusarono con la sua presenza di legittimare il regime
dell’apartheid e di fare sostanzialmente una passerella, una comparsata,
poiché nulla sarebbe cambiato in seguito alla sua presenza; questa la
risposta di Ashe: “Il progresso arriva un po' per volta: quando me ne sarò
andato, qualcosa resterà”. Oltre che da quella successiva storia, la
legittimazione di questa posizione gli venne da un uomo presente a un
incontro con la stampa organizzatagli da Don Mattera, tra i fondatori
dell’Union of Black Journalists e del Congress of South African writers,
uno dei pochi giornalisti di colore a credere nella bontà della sua
azione: “Tu per me sei una sfida, una sfida a non avere paura, a essere
più libero. E se non lo sarò io, lo saranno i miei figli”. Appena qualche
giorno dopo, il 30 novembre 1973, con la Convenzione sulla Soppressione e
la Punizione del Crimine dell’Apartheid, l’Onu denunciava la
discriminazione razziale in atto in Sudafrica come un “crimine contro
l’umanità in violazione delle leggi internazionali”. E tre anni più tardi
sarebbero stati proprio i figli a scendere in strada, dando vita a quelli
che sarebbero rimasti nella storia come gli scontri di Soweto. Si tratta
di una protesta studentesca a seguito di un decreto governativo che
imponeva a tutte le scuole per neri di utilizzare l'afrikaans, la lingua
dei coloni bianchi, come lingua paritetica all'inglese. Nel giugno del
1976 gli studenti scesero in strada appunto a Soweto, sobborgo di
Johannesburg, dove la repressione della polizia fu brutale e lasciò una
lunga scia di morti di fronte ai quali la comunità internazionale non
poteva più in alcun modo continuare a voltarsi dall’altra parte. Proprio a
Soweto nel 1974 Ashe aveva edificato [il suo centro
sportivo](<https://arthurashe.ucla.edu/south-africa/>), composto da campi
da tennis e anche da una libreria, a testimonianza di un’idea di
integrazione resa possibile attraverso lo sport e la cultura. Il regime
dell'apartheid cadrà nel 1991 e, una volta ottenuta la libertà, l'uomo
simbolo proprio della lotta all'apartheid, Nelson Mandela, consapevole
[dell'importanza dello
sport](<https://archivio.micromega.net/il-film-della-settimana-invictus-linvincibile-di-clint-eastwood/>)
nella costruzione di un corpo sociale solido e armonico, [volle incontrare
proprio Arthur
Ashe](<https://www.lastampa.it/blogs/2013/02/06/news/ashe-il-tennista-che-faceva-sognare-mandela-1.37249276/>),
che tanto aveva fatto per un Sudafrica più libero e giusto semplicemente
non arrendendosi nella sua ripetuta richiesta di visti per giocare
all'Open di Johannesburg.
L’impegno di Arthur Ashe non si è comunque “limitato” alla sua lotta
contro l’apartheid. Laureatosi in Business Administration alla prestigiosa
Università UCLA, nel cui sito è presente [una
sezione](<https://arthurashe.ucla.edu/>) che mantiene viva la _legacy_ del
suo celebre studente, Ashe ha rivestito un ruolo importante anche nella
nascita dell’ATP, l’Association Tennis Players, quella che ancora
attualmente governa il mondo del tennis professionistico. Per quanto oggi
possa far storcere il naso una sorta di “sindacalizzazione” degli sportivi
professionisti, ritenuti sempre e comunque dei privilegiati, va
considerato che all’epoca (tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei
Settanta) la loro capacità di incidere nell’ambito dello sport di cui
erano i mattatori era piuttosto limitata e grazie al loro sforzo
collettivo nell’associarsi nell’ATP hanno potuto ottenere guadagni e
tutele congrui alla loro effettiva rilevanza. Lo sport professionistico è
anche lavoro, un lavoro che spesso è parte di un business globale di cui i
protagonisti principali, gli atleti, se non adeguatamente consapevoli,
rischiano di essere delle “manovalanze” sottopagate in rapporto agli
introiti che garantiscono. Questo è anche quanto aveva capito [Diego
Armando
Maradona](<https://www.micromega.net/la-fede-maradoniana-napoli-celebra-il-suo-capitano-eterno/>),
un altro atleta che non si limitava a praticare bene il proprio sport, il
cui tentativo di istituire un sindacato per calciatori, non riconosciuto
dalla FIFA, si arenò sul nascere.
L’ultima battaglia combattuta sua malgrado da Arthur Ashe è stata quella
contro l’AIDS, avendo contratto nel 1988 il virus dell’HIV in seguito a
una trasfusione. Anche in questo caso l’enorme forza morale che lo ha
guidato per tutta la vita, quella che da afroamericano lo aveva portato a
eccellere nello sport dei bianchi per eccellenza e a sfidare un regime
iniquo come quello sudafricano, gli ha fatto affrontare la malattia in
modo diverso, considerando sé stesso non come una semplice vittima del
male ma come un messaggero scelto da esso per sensibilizzare il mondo
(l’HIV è stato contratto anche da grandi campioni che oggi riescono a
convivervi, come [Magic
Johnson](<https://www.vanityfair.it/article/magic-johnson-30-anni-hiv-cosa-piu-difficile-dirlo-a-mia-moglie>)
e [Greg
Louganis](<https://www.repubblica.it/sport/2013/07/19/news/bentornato_divino_louganis_sono_un_sopravvissuto_ora_sposo_il_mio_compagno-63282431/>)).
L’8 aprile 1992 annunciò al mondo la sua malattia, che ne causerà la morte
l’anno dopo, esattamente il 6 febbraio 1993. Fiaccato nel fisico ma non
nel morale, due mesi prima di morire Ashe fondò la Arthur Ashe Institute
for Urban Health, per aiutare le persone dotate di un’assicurazione medica
insufficiente a coprire le spese mediche, e solo una settimana prima di
lasciarci concluse il suo libro scritto con il giornalista Arnold
Rampersad, [_Days of
Grace_](<https://www.ibs.it/giorni-di-grazia-mia-storia-ebook-arthur-ashe-arnold-rampersad/e/9788867831678>).
Qui sono contenute alcune parole dedicate alla sua unica figlia, Camera
Elizabeth, che lo aveva reso padre solo due anni prima di contrarre il
virius, nel 1986: “Potrei non camminare con te per tutto il percorso, o
anche per gran parte del percorso, mentre cammino con te adesso. Non
essere arrabbiata con me se non sono lì di persona, vivo e vegeto, quando
hai bisogno di me. Non vorrei altro che stare sempre con te. Non
dispiacerti per me se me ne vado. Quando eravamo insieme, ti amavo
profondamente e mi hai dato così tanta felicità che non potrò mai
ripagarti. Camera, ovunque io sia quando il cuore fa male e sei stanca
della vita, o quando inciampi e cadi e non sai se puoi rialzarti, pensa a
me. Ti guarderò, sorriderò e tiferò per te”.
E ancora oggi, a trent’anni dalla sua scomparsa, Arthur Ashe fa il tifo
per tutti quelli che, con il loro eroismo sobrio, lottano per lasciare il
mondo un posto migliore di come lo hanno trovato.
CREDITI FOTO: [Rob Bogaerts|Wikimedia
Commons](<https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Arthur_Ashe?uselang=it#/media/File:ABN-wereldtennistoernooi_in_Rotterdam_Arthur_Ashe_in_actie,_Bestanddeelnr_927-7839.jpg>)
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- Le nostre scelte irrazionali
- >-
Arthur Ashe, 80 anni fa nasceva il tennista che avrebbe reso il mondo un
posto migliore
- L’economia ai piedi delle multinazionali
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This is a sentence-transformers model trained. It maps sentences & paragraphs to a 768-dimensional dense vector space and can be used for semantic textual similarity, semantic search, paraphrase mining, text classification, clustering, and more.
Model Details
Model Description
- Model Type: Sentence Transformer
- Maximum Sequence Length: 512 tokens
- Output Dimensionality: 768 tokens
- Similarity Function: Cosine Similarity
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Model Sources
- Documentation: Sentence Transformers Documentation
- Repository: Sentence Transformers on GitHub
- Hugging Face: Sentence Transformers on Hugging Face
Full Model Architecture
SentenceTransformer(
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Usage
Direct Usage (Sentence Transformers)
First install the Sentence Transformers library:
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Then you can load this model and run inference.
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# Download from the 🤗 Hub
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"\n\nCome tutti gli appassionati di della serie TV _Boris_ sanno, il regista René Ferretti, interpretato da Francesco Pannofino, sceglie come compagno di viaggio per ogni suo nuovo progetto professionale un pesce rosso. I pesci rossi si susseguono, avendo tutti una caratteristica in comune: a ognuno di loro viene dato il nome di un grande giocatore di tennis, sport che René segue con grande passione. I pesci rossi del regista di Fiano Romano costituiscono infatti un viaggio attraverso decenni di tennis: Stan Smith, Adriano Panatta, John McEnroe, Ivan Lendl, Boris Becker, Michael Chang, Vanessa e Serena Williams e Roger Federer. Va rilevato che i pesci rossi di René hanno in comune, loro malgrado, anche un'altra caratteristica, ovvero quella di essere associati dal loro padrone a prodotti culturali scadenti, di bassa qualità: per usare le sue parole, fatti “a ca**o di cane”.Ma tra tanti pesci spunta una formica, la formica rossa che dà il titolo a un [pregevole cortometraggio](<https://www.youtube.com/watch?v=KKLM8OkncBo>) realizzato dal personaggio interpretato da Pannofino, in cui alle raffinate immagini che non vogliono affatto compiacere un pubblico digiuno di ogni linguaggio filmico si accompagna uno script altrettanto importante, poetico e pregno di valori forti e dal grande afflato umanistico. Anche in questo caso la dedica va a un tennista, [Arthur Ashe](<https://it.wikipedia.org/wiki/Arthur_Ashe>), che nasceva il 10 luglio di 80 anni fa. Non è un caso che a lui sia dedicato il cortometraggio che trasmette i più nobili valori perché è questo che Ashe ha fatto nella sua vita, con la parola e soprattutto con l'esempio. Il tennista afroamericano sosteneva che un campione è colui che lascia il suo sport migliore di come lo ha trovato e lui è riuscito ad andare anche oltre, lasciando il mondo migliore di come lo aveva trovato. E tutto questo lo ha fatto tenendo fede al suo concetto di eroismo, sobrio e non drammatico, mirato non al superamento degli altri ma al loro aiuto. \n[Abbonati a MicroMega](<https://beacons.ai/micromega_rivista_abbonamenti>) \nCome tennista, Arthur Ashe ha vinto quattro Coppe Davis, un US Open (e oggi il campo centrale di Flushing Meadows [porta il suo nome](<https://it.wikipedia.org/wiki/Arthur_Ashe_Stadium>)), un Australian Open e un Wimbledon, superando nell'epica finale del 1975 il favorito Jimmy Connors. Una sfida, ancor prima che tra due tennisti, tra due esseri umani che non avrebbero potuto essere più diversi, almeno a giudicare dalle loro figure pubbliche: riflessivo e compassato Ashe, esplosivo e irruento Connors. “Jimbo” era il grande favorito, avendo come sua principale alleata una giovinezza che lo poneva su un piano vantaggioso nell’affrontare Ashe, già 32enne. Sfavorito sul piano atletico, Ashe vinse sul piano tattico e mentale, una vittoria conseguita con gli stessi ingredienti che l’anno prima erano valsi a Muhammad Alì [la riconquista del titolo dei pesi massimi](<https://it.wikipedia.org/wiki/The_Rumble_in_the_Jungle>) a Kinshasa contro George Foreman, ugualmente più giovane e favorito. Ashe appartiene alla stretta cerchia di atleti in cui si inserisce lo stesso Alì, ossia di coloro che, pur avendo eccelso nel loro sport, se ne sono serviti in fondo come punto di partenza, come trampolino da cui lanciarsi per ottenere qualcosa di molto più grande. \nCosì come Alì è partito dalla boxe per prendere a pugni il razzismo, altrettanto ha fatto Ashe iniziando dal tennis, agendo però con la sottile delicatezza di una voleè o di un lob. La sua lotta contro l’apartheid che allora attanagliava il Sudafrica ne è un chiaro e fulgido esempio. Ashe infatti ha sfidato il Paese mostrandone le iniquità, vedendosi rifiutato il visto per giocare all’Open di Johannesburg a partire dal 1968. Il Sudafrica venne squalificato dalla Coppa Davis nel 1972, per esservi riammesso l’anno dopo ad alcune condizioni, una delle quali era proprio l’ammissione di Ashe al torneo. Il 20 novembre del 1973 il tennista di [Richmond](<https://www.ubitennis.com/blog/2023/02/06/30-anni-senza-arthur-ashe-in-realta-non-e-mai-andato-via/>) è il primo giocatore di colore a calcare il campo da tennis del più importante torneo sudafricano. Tra le condizioni poste a sua volta per accettare l’invito del regime sudafricano a giocare nel Paese, Ashe aveva preteso che sugli spalti non vigesse la suddivisione abituale tra bianchi e neri, che sedevano in settori diversi; la richiesta sarà in parte disattesa, ma si tratterà di uno dei colpi di coda di un regime destinato a crollare, anche sotto i colpi dell’eroismo sobrio di Ashe. [Come ci racconta](<https://www.ubitennis.com/sport/tennis/2013/11/20/985140-sfida_storica_ashe_sudafrica.shtml>) Alessandro Mastroluca, che gli ha dedicato [un libro](<https://www.ibs.it/successo-viaggio-arthur-ashe-simbolo-libro-alessandro-mastroluca/e/9788867760121>), in realtà l’inizio di quella avventura umana ancor prima che sportiva non fu facile, tanto che alcuni giornalisti di colore che lo incontrano prima del torneo lo accusarono con la sua presenza di legittimare il regime dell’apartheid e di fare sostanzialmente una passerella, una comparsata, poiché nulla sarebbe cambiato in seguito alla sua presenza; questa la risposta di Ashe: “Il progresso arriva un po' per volta: quando me ne sarò andato, qualcosa resterà”. Oltre che da quella successiva storia, la legittimazione di questa posizione gli venne da un uomo presente a un incontro con la stampa organizzatagli da Don Mattera, tra i fondatori dell’Union of Black Journalists e del Congress of South African writers, uno dei pochi giornalisti di colore a credere nella bontà della sua azione: “Tu per me sei una sfida, una sfida a non avere paura, a essere più libero. E se non lo sarò io, lo saranno i miei figli”. Appena qualche giorno dopo, il 30 novembre 1973, con la Convenzione sulla Soppressione e la Punizione del Crimine dell’Apartheid, l’Onu denunciava la discriminazione razziale in atto in Sudafrica come un “crimine contro l’umanità in violazione delle leggi internazionali”. E tre anni più tardi sarebbero stati proprio i figli a scendere in strada, dando vita a quelli che sarebbero rimasti nella storia come gli scontri di Soweto. Si tratta di una protesta studentesca a seguito di un decreto governativo che imponeva a tutte le scuole per neri di utilizzare l'afrikaans, la lingua dei coloni bianchi, come lingua paritetica all'inglese. Nel giugno del 1976 gli studenti scesero in strada appunto a Soweto, sobborgo di Johannesburg, dove la repressione della polizia fu brutale e lasciò una lunga scia di morti di fronte ai quali la comunità internazionale non poteva più in alcun modo continuare a voltarsi dall’altra parte. Proprio a Soweto nel 1974 Ashe aveva edificato [il suo centro sportivo](<https://arthurashe.ucla.edu/south-africa/>), composto da campi da tennis e anche da una libreria, a testimonianza di un’idea di integrazione resa possibile attraverso lo sport e la cultura. Il regime dell'apartheid cadrà nel 1991 e, una volta ottenuta la libertà, l'uomo simbolo proprio della lotta all'apartheid, Nelson Mandela, consapevole [dell'importanza dello sport](<https://archivio.micromega.net/il-film-della-settimana-invictus-linvincibile-di-clint-eastwood/>) nella costruzione di un corpo sociale solido e armonico, [volle incontrare proprio Arthur Ashe](<https://www.lastampa.it/blogs/2013/02/06/news/ashe-il-tennista-che-faceva-sognare-mandela-1.37249276/>), che tanto aveva fatto per un Sudafrica più libero e giusto semplicemente non arrendendosi nella sua ripetuta richiesta di visti per giocare all'Open di Johannesburg.\n\nL’impegno di Arthur Ashe non si è comunque “limitato” alla sua lotta contro l’apartheid. Laureatosi in Business Administration alla prestigiosa Università UCLA, nel cui sito è presente [una sezione](<https://arthurashe.ucla.edu/>) che mantiene viva la _legacy_ del suo celebre studente, Ashe ha rivestito un ruolo importante anche nella nascita dell’ATP, l’Association Tennis Players, quella che ancora attualmente governa il mondo del tennis professionistico. Per quanto oggi possa far storcere il naso una sorta di “sindacalizzazione” degli sportivi professionisti, ritenuti sempre e comunque dei privilegiati, va considerato che all’epoca (tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta) la loro capacità di incidere nell’ambito dello sport di cui erano i mattatori era piuttosto limitata e grazie al loro sforzo collettivo nell’associarsi nell’ATP hanno potuto ottenere guadagni e tutele congrui alla loro effettiva rilevanza. Lo sport professionistico è anche lavoro, un lavoro che spesso è parte di un business globale di cui i protagonisti principali, gli atleti, se non adeguatamente consapevoli, rischiano di essere delle “manovalanze” sottopagate in rapporto agli introiti che garantiscono. Questo è anche quanto aveva capito [Diego Armando Maradona](<https://www.micromega.net/la-fede-maradoniana-napoli-celebra-il-suo-capitano-eterno/>), un altro atleta che non si limitava a praticare bene il proprio sport, il cui tentativo di istituire un sindacato per calciatori, non riconosciuto dalla FIFA, si arenò sul nascere. \nL’ultima battaglia combattuta sua malgrado da Arthur Ashe è stata quella contro l’AIDS, avendo contratto nel 1988 il virus dell’HIV in seguito a una trasfusione. Anche in questo caso l’enorme forza morale che lo ha guidato per tutta la vita, quella che da afroamericano lo aveva portato a eccellere nello sport dei bianchi per eccellenza e a sfidare un regime iniquo come quello sudafricano, gli ha fatto affrontare la malattia in modo diverso, considerando sé stesso non come una semplice vittima del male ma come un messaggero scelto da esso per sensibilizzare il mondo (l’HIV è stato contratto anche da grandi campioni che oggi riescono a convivervi, come [Magic Johnson](<https://www.vanityfair.it/article/magic-johnson-30-anni-hiv-cosa-piu-difficile-dirlo-a-mia-moglie>) e [Greg Louganis](<https://www.repubblica.it/sport/2013/07/19/news/bentornato_divino_louganis_sono_un_sopravvissuto_ora_sposo_il_mio_compagno-63282431/>)). L’8 aprile 1992 annunciò al mondo la sua malattia, che ne causerà la morte l’anno dopo, esattamente il 6 febbraio 1993. Fiaccato nel fisico ma non nel morale, due mesi prima di morire Ashe fondò la Arthur Ashe Institute for Urban Health, per aiutare le persone dotate di un’assicurazione medica insufficiente a coprire le spese mediche, e solo una settimana prima di lasciarci concluse il suo libro scritto con il giornalista Arnold Rampersad, [_Days of Grace_](<https://www.ibs.it/giorni-di-grazia-mia-storia-ebook-arthur-ashe-arnold-rampersad/e/9788867831678>). Qui sono contenute alcune parole dedicate alla sua unica figlia, Camera Elizabeth, che lo aveva reso padre solo due anni prima di contrarre il virius, nel 1986: “Potrei non camminare con te per tutto il percorso, o anche per gran parte del percorso, mentre cammino con te adesso. Non essere arrabbiata con me se non sono lì di persona, vivo e vegeto, quando hai bisogno di me. Non vorrei altro che stare sempre con te. Non dispiacerti per me se me ne vado. Quando eravamo insieme, ti amavo profondamente e mi hai dato così tanta felicità che non potrò mai ripagarti. Camera, ovunque io sia quando il cuore fa male e sei stanca della vita, o quando inciampi e cadi e non sai se puoi rialzarti, pensa a me. Ti guarderò, sorriderò e tiferò per te”. \nE ancora oggi, a trent’anni dalla sua scomparsa, Arthur Ashe fa il tifo per tutti quelli che, con il loro eroismo sobrio, lottano per lasciare il mondo un posto migliore di come lo hanno trovato.\n\nCREDITI FOTO: [Rob Bogaerts|Wikimedia Commons](<https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Arthur_Ashe?uselang=it#/media/File:ABN-wereldtennistoernooi_in_Rotterdam_Arthur_Ashe_in_actie,_Bestanddeelnr_927-7839.jpg>)\n\n \n\n \n\n \n\n \n\n \n\n \n\n \n\n \n",
'Arthur Ashe, 80 anni fa nasceva il tennista che avrebbe reso il mondo un posto migliore',
'Le nostre scelte irrazionali',
]
embeddings = model.encode(sentences)
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# [3, 768]
# Get the similarity scores for the embeddings
similarities = model.similarity(embeddings, embeddings)
print(similarities.shape)
# [3, 3]
Evaluation
Metrics
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- Evaluated with
TripletEvaluator
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Triplet
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- Evaluated with
TripletEvaluator
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---|---|
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euclidean_accuracy | 0.8617 |
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Training Details
Training Hyperparameters
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All Hyperparameters
Click to expand
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: O1half_precision_backend
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Framework Versions
- Python: 3.12.2
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- PyTorch: 2.4.1+cu121
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Citation
BibTeX
Sentence Transformers
@inproceedings{reimers-2019-sentence-bert,
title = "Sentence-BERT: Sentence Embeddings using Siamese BERT-Networks",
author = "Reimers, Nils and Gurevych, Iryna",
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month = "11",
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TripletLoss
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author={Alexander Hermans and Lucas Beyer and Bastian Leibe},
year={2017},
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